Nel Mondo Romano, è cosa risaputa che gran parte dei trasporti avvenisse via mare, per quanto con le imbarcazioni dell’epoca i viaggi fossero a volte perigliosi, lenti e soprattutto stagionali.
Eppure seguire le vie dell’acqua pareva allora la soluzione più logica. Ma per quale ragione? Perchè per quanto i Romani siano stati abilissimi a tracciare un fitto sistema di strade che attraversasse grossa parte dell’impero, il trasporto via acqua manteneva i costi relativamente bassi e non richiedeva quel collegamento di strade in continuità le une con le altre che solo col tempo i Romani tracciarono e che comunque non raggiunse mai alcune zone dell’enorme Impero da loro costituito.
Quindi i Romani, con la solita efficienza e caparbietà, si dedicarono senza troppe difficoltà all’organizzazione di un sistema di trasporti impeccabile che, grazie ad un complesso di network di rotte attraverso il Mediterraneo, garantiva al popolo ed ai compratori più esigenti e raffinati ogni genere di risorsa: dai generi alimentari di importazione ai prodotti di lusso.
Ovviamente le imbarcazioni dovevano essere progettate in un modo che conciliasse le necessità di carico con la rotta da seguire. Ed allora una prima distinzione possiamo farla pensando a due diverse vie d’acqua: mare e fiume.
Quindi cominciamo col distinguere le navi da trasporto marittimo, navi onerarie, e da trasporto fluviale, navi caudicarie.

Ma parliamo in ogni caso di navi “mercantili” poichè navi passeggeri non esistevano. Se la necessità di intraprendere un viaggio era oggettiva ci si adattava alle navi cargo e si raggiungeva la meta programmata seguendo il carico destinato a quelle zone. Certo nel caso dell’Imperatore poteva essere prevista un’eccezione: Caligola utilizzò le poliremi per le sue rilassanti escursioni a largo delle Calabria, e anche per altri imperatori non è da escludere che durante i loro viaggi si servissero di navi della flotta militare.
Ma torniamo alle navi onerarie. Via mare, come detto, viaggiava ogni genere di materiale ed a volte per ragioni di praticità nello sfruttamento degli spazi della stiva il carico era misto , cioè prevedeva tipi di merci diverse. Dunque, nelle stive dei mercantili romani avreste trovato all’epoca anche preziosi e metalli e poi spezie, aromi, salsa di pesce (garum) e legumi, oltre a tante altre cose, perfino prosciutto crudo.
Ed a tale proposito citiamo l’insolito racconto di Plinio in Historiae naturales, IX, 14. L’autore racconta di un’orca entrata nel Porto di Claudio ancora in costruzione e lì arenatasi. L’autore precisa che l’animale era stato attirato dal naufragio di un carico di prosciutti proveniente dalla Gallia e ci fornisce così un piccolo dettaglio sulle importazioni di generi alimentari “D.O.C.” nel I secolo d.C.
Comunque, seppure in questa straordinaria ricchezza di possibilità, le fonti sono abbastanza puntuali nel riferirci di tipologie di navi speciali, quasi “specializzate” rispetto al loro carico.
Così vengono citate:
- naves oleariae, per il trasporto dell’olio
- naves granariae, per il grano
- naves vinariae, per il vino
- naves lapidariae, per il marmo e prodotti semilavorati di marmo e pietra
- naves bestiariae, le più singolari, concepite per il trasporto di animali, anche delle belve feroci da impiegare nelle venationes, le cacce nell’anfiteatro.
Queste avevano un tratto della stiva, o meglio un fianco dell’imbarcazione “mobile” che poteva aprirsi divenendo una rampa che favorisse la discesa degli animali.
Ma cerchiamo di “visualizzare” queste meraviglie di ingegneria navale parlando di numeri.

E cominciamo con un trasporto speciale, che nel I secolo d.C fece già scalpore fra i contemporanei. Plinio ci racconta infatti del trasferimento dell’obelisco di Pheres originariamente ad Eliopoli, da Alessandria (dove lo aveva fatto spostare l’imperatore Augusto) sino a Roma. L’impresa, intrapresa per ordine di Caligola, non fu cosa semplice. L’obelisco, un’opera monolitica di 25 metri di altezza fu caricato intero su un’unica nave, bloccato per evitare pericolose oscillazioni in mare con enormi massi di granito e bisognò ricorrere ad una zavorra impressionante per bilanciare l’imbarcazione: una zavorra di 2.800.000 libbre di lenticchie egizie. Dopo aver svolto questo suo compito la nave risultò essere un colosso tale da renderne impossibile qualsiasi reimpiego, così restò inutilizzata fino al principato di Claudio. Allora l’imperatore la fece affondare e riutilizzare come isolotto per il faro del Porto a lui intitolato ed in costruzione a Nord di Ostia Antica.
Per capire invece la capacità di carico delle navi granarie possiamo citare l’Isis menzionata dallo scrittore Luciano in Navigium, 5. La nave era lunga più di 50 metri e capace di trasportare 1200 tonnellate di grano, di contro al minimo richiesto di 330 tonnellate, capacità delle granariae standard. Questo parlando di grano. Non così sorprendente, ma comunque notevole è poi la capacità delle navi caricate ad anfore. Ne esistevano di myrioforoi, cioè capaci di trasportare fino a 10.000 anfore, ciascuna contenente circa 26 litri di liquidi.

L’immagine che si affaccia alla nostra mente è dunque incredibile: enormi bastimenti, lunghi fino a 60 metri ed alti 14/15 metri con una capacità di carico variabile, dalle 500 tonnellate a 1000 o 2000 tonnellate. Insomma un sistema imponente fatto di dimensioni imponenti e grandi numeri.
Naturalmente esistevano anche imbarcazioni da mare più piccole. Queste però svolgevano il ruolo di flottiglia che affiancava le più grandi, con funzioni ausiliarie. Insomma queste piccole imbarcazioni note come scaphae e lenunculi assicuravano i servizi del porto in modo efficiente. Ad esempio le scaphae più piccole rimorchiavano e trainavano a remi le navi più grandi, anche in caso di manovre difficili da compiere all’ingresso o all’uscita del porto; i lenuncoli, più grandi, procedevano a scaricare le navi onerarie ancora in mare per alleggerirle prima dell’ingresso in porto. Ma viste le dimensioni maggiori potevano essere usate anche come barche autonome da pesca in mare. Dunque, esistevano per le navi da mare diverse soluzioni che corrispondevano ad esigenze differenti.
Eppure per risalire i fiumi le imbarcazioni che facevano da collegamento fra gli scali portuali ed i centri di smistamento dovevano avere requisiti ancora diversi.
Noi, per affrontare il tema delle imbarcazioni fluviali, ci occuperemo delle navi che solcavano le acque del Tevere fra Roma ed Ostia ed una delle maggiori difficoltà che queste imbarcazioni fluviali dovevano superare era la scarsa profondità dell’acqua, compresa mediamente fra i 3 ed 4 metri (con l’unica eccezione di un breve tratto di profondità attorno ai 20 metri) .
Ma procediamo con ordine. Le iscrizioni di Ostia e Roma citano due nomi, che sembrano ricorrenti: lintres e naves caudicariae. Le lintres che vengono citate non solo in relazione al Tevere, ma anche in riferimento ad alcuni fiumi delle province (Reno, Rodano, Senna), a seconda del contesto geografico e del momento storico andavano dalla semplice piroga scavata in un unico tronco a imbarcazioni più complicate , non molto profonde ma allungate, con la prua che si alzava in una curva molto definita, sponde poco alte ma ben rinforzate. Su queste imbarcazioni poteva prendere posto un solo timoniere, che impugnava il lato ricurvo di una lunga pertica, che fungeva appunto da semplice timone. Considerate queste caratteristiche, le lintres sembrano destinate ad una navigazione rapida in acque poco profonde e dove non siano richieste manovre complicate, ma anzi sia possibile in caso di necessità disporre delle rive come percorsi per il traino delle imbarcazioni.
Anche le naves caudicarie, come la maggior parte delle imbarcazioni prima citate avevano forma di mezzaluna, ma nei rilievi mostrano come caratteristica distintiva una poppa molto rialzata che s’incurva addirittura sopra la postazione del timoniere, che su questa nave aveva a disposizione ben due timoni a perno.
Anche in questo caso si ricorreva all’alaggio, al traino, per risalire il fiume e per questo l’imbarcazione era provvista di un albero e di ancoraggi per i cavi. Ma le naves caudicariae avevano una capacità di carico superiore alle lintres ed erano per questo più pesanti e lente. Pare che per il tratto di fiume descritto, cioè da Ostia a Roma, la navigazione controcorrente richiedesse addirittura tre giorni.
In ogni caso è chiaro che questo sistema, seppur lontano dai nostri standard di “rapidità” nel trasferimento delle merci, nel complesso funzionasse, se consideriamo che nel solo I secolo d.C. Roma aveva un milione di abitanti che potevano essere riforniti del necessario.
Post by Sara P.