Tifosi al Circo Massimo

13 Mag 2020 | Vita quotidiana

La passione per lo sport, il tifo per i colori di una squadra, l’ammirazione per le imprese di un atleta hanno da sempre accomunato popoli e civiltà diversi.

A questi sentimenti non erano certo estranei gli antichi Romani, che per ospitare le competizioni sportive costruirono edifici imponenti. Il più grandioso fra tutti fu, certamente, il Circo Massimo, dove si tenevano i giochi per eccellenza, i ludi circenses, ovvero le corse dei carri.

Questa passione per le corse pare sia nata con Roma stessa, perchè secondo la tradizione pare che il circo Massimo nella sua prima versione sia stato tracciato da Romolo. Certo non era l’infinita teoria di archi che diventò in età imperiale, ma l’antichità del progetto dimostra come le corse furono da sempre nel sangue dei Romani, e di tutti i Romani per di più.

L’amore per le corse non risparmiava nessuno, il tifo appassionato per i diversi team coinvolgeva, salvo eccezioni, tutta la popolazione romana, dai più umili fino all’imperatore, con un trasporto diremmo “ai limiti della legalità”.

Sebbene gli autori romani non parlino affatto del comportamento dei tifosi sugli spalti del Circo, è poco credibile che mantenessero il controllo. Pensate alle tifoserie dei nostri stadi o cercando un paradigma più antico al celebre racconto di Dione Crisostomo a proposito di certi giochi ad Antiochia. Riferisce l’autore che i tifosi durante le corse perdevano completamente il senso della realtà cadendo in una trance che spesso degenerava in tafferugli e scontri tra tifoserie. vi suona familiare?

Ma non ci fermiamo qui. Il fanatismo acquistava forme anche comiche quando sfociava nella superstizione. Certi tifosi ricorrevano persino a formule magiche in cui si invocavano demoni e spiriti per chiedere la protezione per l’auriga della propria fazione ed augurare poco sportivamente tutto il male possibile agli avversari. Lo scrivevano su tavolette chiamate defixiones tabellae come quella ritrovata in nord africa scritta da un sostenitore dei Rossi o Azzurri: “Io ti invoco o demone, chiunque tu sia, e ti chiedo ti tormentare i cavalli dei verdi e dei bianchi e di ucciderli e di far morire in uno scontro gli aurighi…….” (Defixionum tabellae nr. 284)

Il tifo più fanatico provocava anche tragici epiloghi come quello raccontato da Plinio quando in occasione del rogo per il defunto Felix, auriga dei Rossi, un tale in preda alla disperazione si gettò anche lui nel rogo.

Ma l’essere tifosi non riguardava solo il popolo. Nemmeno gli imperatori rimanevano indifferenti al fascino dell’auriga, almeno non tutti.

Esclusi pochi casi come quello di Tiberio che non amava spettacoli grandiosi e Marco Aurelio che si asteneva da ogni manifestazione che provocava turbamento, per tutti gli imperatori assistere ai giochi del circo condividendo la stessa passione del popolo era una maniera per accrescere il proprio consenso.

Se gli imperatori più saggi e diplomatici preferivano non dichiarare apertamente la propria fede verso una fazione, c’erano quelli che d’altro canto diedero dimostrazione dei propri eccessi anche come tifosi sia dentro che fuori dal Circo.

Caligola e Lucio Vero co-imperatore con Marco Aurelio ad esempio erano grandi tifosi dei Verdi, ma era soprattutto la loro passione viscerale per i cavalli che li portava a compiere cose folli. Per il suo cavallo Incitatus Caligola “faceva imporre e rispettare il silenzio anche con l’intervento delle guardie, la sera prima della corsa, affinché non fosse disturbato. Gli donò, oltre una stalla di marmo e una greppia d’avorio, coperte di porpora e bardamenti di pietre preziose ed anche una casa con tanto di servitù e mobilio perchè le persone che faceva invitare a nome del cavallo fossero ospitate assai degnamente. Si dice che volesse perfino candidarlo al consolato”. (Svetonio, Caligola, 55)

Lucio Vero invece aveva fatto produrre una serie di preziosi boccali di cristallo firmati col nome del suo cavallo Volucer e quando morì gli fece anche costruire persino un mausoleo.

Uno dei fatti più curiosi riguardano Commodo, tifoso anche lui dei Verdi, che aveva come cavallo preferito Pertinace che guarda caso era anche il nome dell’imperatore suo successore. Immaginate la situazione imbarazzante per l’imperatore quando i Verdi acclamavano Pertinace dopo una vittoria e le fazioni avversarie rispondevano ironicamente “magari” alludendo a colui che sarebbe diventato imperatore.

C’erano poi coloro come Vitellio e Caracalla celebri per le loro crudeltà che manifestavano la fede verso la fazione degli Azzurri anche attraverso veri e propri atti di violenza nei confronti degli avversari. Quando Caracallo assassinò il fratello Geta fece uccidere anche gli aurighi dei verdi per cui tifava.

Ma perchè questi giochi avevano così tanto successo e come venivano organizzati? Dopo una parentesi iniziale fatta un po’ di improvvisazione assunsero un aspetto sempre più professionale, quello di un intrattenimento che non avrebbe nulla da invidiare al nostro show business più organizzato. i Romani, sistematizzarono ed organizzarono i giochi  come se fossero un aspetto della politica. E nel farlo furono tanto abili che fidelizzarono gli spettatori fino a  fare dei giochi uno strumento di propaganda. è noto a tutti il famoso motto di Giovenale che racchiudeva in una semplice  espressione il significato “politico dei giochi: panem et circenses, dice il poeta precisando che ora [il popolo] se ne infischia e due cose soltanto desidera ansiosamente: pane e giochi”. (Giovelae, Satire, X, 78-81).

Insomma erano un evento da non perdere, una parte intrigante della vita pubblica.

Resti del Circo Massimo

I Ludi del Circo erano infatti parte integrante degli spettacoli pubblici di Roma che magistrati chiamati edili, avevano il compito di organizzare in occasione di determinate feste religiose. 

Durante questi “eventi” che comprendeva cerimonie e celebrazioni le corse erano però la parte più amata del programma e gli spettatori fremevano nell’attesa della partenza dei carri.

Erano previste “esibizioni”  di quadrighe, i carri con 4 cavalli, di bighe e trighe;  in casi eccezionali anche con carri trainati da otto o dieci cavalli. Quindi c’era in un certo senso una direzione pubblica dello show, ma nei fatti chi era ad occuparsi materialmente dell’organizzazione dei ludi?

A fornire tutto il necessario erano le factiones. Le factiones erano organizzate come le moderne società sportive guidate da un direttore generale (dominus factionis), e costituite da un nutrito staff di professionisti che ricoprivano le numerose cariche all’interno della società. Queste andavano dal selezionatore di aurighi e cavalli, ai medici veterinari, al preparatore atletico, alle qualifiche più natura più tecnica come i sellarii  (meccanici) e di supporto come i sparsores che rinfrescavano aurighi e cavalli durante le corse.

questo dispiegamento di uomini che operavano “dietro le quinte”  per tutta la durata delle corse assisteva e supportava gli equipaggi; qualcosa di simile a quanto accade oggi nelle gare di formula 1 dove non a caso viene usato il termine scuderia per indicare la casa automibilistica. e proprio come nelle corse automobilistiche la star era il pilota, l’auriga.

Era lui che con le sue vittorie contribuiva al prestigio ed alla ricchezza di una fazione e saliva alla ribalta del pubblico divenendo un vero e proprio idolo delle folle.

a decretare il successo di una delle 4 scuderie, Verde (prasina), l’Azzurra (veneta), la Bianca (albata) e la Rossa (russata) che di volta in volta si sfidavano nel circo era solo e soltanto l’abilità dell’auriga. 

Sono molti gli aurighi ad essere entrai nel storia grazie ai loro successi o come potremmo dire oggi hanno trovato posto negli almanacchi sportivi del tempo:

ricordiamo ad esempio Scorpo, protagonista di diverse satire di Marziale, che poté vantare 2048 vittorie all’attivo ma che morì giovanissimo a 27 anni probabilmente tra il 94 ed il 98 ed a cui lo scrittore dedicherà un elogio “…. Tu muori o Scorpo strappato alla vita nel fiore della giovinezza, e aggioghi così presto i neri i cavalli . Quella meta verso cui sempre ti affrettavi col tuo cocchio e rapidamente raggiungevi perchè ti è stata posta tanto vicina nella vita?” (Marziale X, 50)

ma perchè una corsa al circo era così emozionante? Perché era una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

L’auriga ben lungi dall’essere tutelato da complesse tute di protezioni e caschi indossava solo una “corazza”, meglio una sorta di bustino fatto di strisce di cuoio, ed un elmetto, un cappuccio dello stesso materiale. 

Così, coraggioso, saliva sul carro. Questo che fosse irato da 2, 3 o 4 cavalli aveva sempre le stesse caratteristiche. Non era munito di un corpo che accogliesse e proteggese l’auriga, ma era una struttura essenziale che pesava forse in tutto 35/40 kg. Deve essere leggero per essere veloce, chiaro. E poi? Poi l’auriga si lanciava sul rettilineo ad una velocità forse di 70 km all’ora ed arrivato alla fine del rettifilo girava attorno alla meta, per riprendere il giro. 

in queste condizioni, in equilibrio precario ed in mezzo alla polvere doveva fare 7 giri (5 a partire da Domiziano) attorno alla meta per vincere la competizione. Coraggio, ardore, forza fisica e temerarietà erano i requisiti dell’auriga ed adesso capite perchè il pubblico fosse rapito dal fascino di queste super star dell’antichità.

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