Quando si parla di Seneca, la prima cosa che viene in mente è il suo legame con Nerone, il fatto che sia stato il precettore dell’imperatore folle per eccellenza.
Poi , normalmente, la mente va alla straordinaria produzione di opere filosofiche di cui Seneca fu autore. Ma Seneca è molto più di questo: ha vissuto una vita difficile e piena di eventi emozionanti che ora vi racconteremo anche attraverso le sue opere.
Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova nel 4 a.C. Era figlio di un retore e la sua famiglia apparteneva all’ordine equestre. Era dunque, diremmo oggi, un ragazzo di buona famiglia, che ancora giovane, abbandonò l’Hispania e si trasferì a Roma. Studiò grammatica, retorica e filosofia, cioè tutte quelle discipline e materie che un ragazzo promettente doveva all’epoca padroneggiare e seguendo le volontà del padre che lo voleva politico ed oratore di successo, iniziò il cursus honorum sotto Caligola. Ecco, perchè quello che di solito si dimentica è che Nerone, ahimè, fu solo uno di una lunga lista di imperatori folli, e che la vita di Seneca attraversò il principato di almeno 2 se non 3 di loro.
I problemi per il giovane Seneca iniziarono infatti con Caligola. Dopo essere entrato nella vita pubblica ed aver iniziato il cursus honorum come questore, pronunciò un famoso discorso in senato che gli attirò l’antipatia dell’imperatore. Ad essere più precisi era sul punto di essere condannato a morte e non tanto per le sue idee antimonarchiche, meglio antitiranniche, diremmo oggi, ma piuttosto per il successo che il giovane oratore ebbe a seguire. Sì, pare che Seneca fosse all’epoca un giovane di successo e di gran fascino. L’avreste mai pensato?
E che questo fascino potesse essere un problema grosso quando era più opportuno mantenere un profilo basso è evidente anche da quello che accadde dopo. Sotto il regno di Claudio, Seneca per la sua intelligenza e non solo finì con l’attirare le invidie dei più potenti, fra questi lo stesso imperatore Claudio. Seneca fu coinvolto allora in un grosso scandalo: un intrigo di corte, una sorta di sex gate ante litteram. L’imperatrice Messalina rosa all’epoca di gelosia nei confronti della bellissima Giulia Livilla, sorella di Caligola, la accusò di adulterio per causarne la rovina ed in questa “cosa fra donne” fu coinvolto suo malgrado anche il filosofo. Fu individuato in lui non solo il complice, ma forse addirittura l’amante della principessa. L’accusa era grave e la pena che fu costretto a scontare tremenda: fu esiliato in Corsica, dove trascorse ben otto anni, finchè Messalina morì. Fu solo allora che potè rientrare a Roma, quando la nuova imperatrice Agrippina, riuscì ad ottenerne “la grazia” volendo il brillante Seneca tutto per sé, o meglio tutto per suo figlio Domizio, come precettore. Rileggendo in chiave più moderna la vicenda di Seneca potremmo dire che questo incarico fosse un disastro annunciato. I motivi erano chiari: non solo i rapporti con Claudio da tempo non erano dei migliori, ma il suo allievo, il suo protetto , Domizio, altri non era che il futuro imperatore Nerone, uno dei principi più discussi della storia dell’impero.
A testimoniare di queste difficoltà e di come Seneca in un certo senso, fosse diverso, da come ci sembra traducendo pochi brani sui banchi di scuola, possiamo citare alcuni titoli delle sue opere che in modo più netto riflettono tutte le vicissitudini che affrontò. Questi scritti non solo raccontano dei personaggi che frequentò, i grandi nomi che nel bene e nel male fecero la storia di Roma, ma ci rivelano anche alcuni tratti meno noti delle sua personalità. Le opere che normalmente ricordiamo meglio sono quei famosi scritti filosofici che sono giunti a noi a testimoniare il genio ed il pensiero elaborato di Seneca. Si pensi a tale proposito ai dialoghi (De otio, De tranquillitate animi, i più noti) ed il capolavoro Epistulae morales ad Lucilium.
Ma quello che forse non tutti sanno è che Seneca fu anche autore di teatro. Scrisse nove tragedie di soggetto mitologico greco. La cosa curiosa è che queste tragedie, forse pensate per la lettura anziché per la messa in scena, con il loro senso dell’orrido e cruento anticipavano con una certa modernità l’attuale genere “splatter”. Alcuni titoli, come la Medea, Tieste, l’Agamennone ti fanno pregustare le atmosfere. Queste opere ponevano spesso l’accento, insistentemente, su certi particolari cruenti ed orridi come solo certa cinematografia di oggi sa fare. Pensate alle Troiane, vv. 1154-1159; oppure a Fedra, vv. 1244-1246. Ma in Seneca tutto ciò aveva un obiettivo: tradurre in termini realistici, quasi visivi un epico scontro fra bene e male. Nel mondo di Seneca le vicende della tradizione greca venivano raccontate in toni ancora più cupi, in uno scenario fatto di orrori in cui la mens bona ed il furor maligno si scontravano. Cioè non abbiamo inventato nulla….
E poi fu autore di una tragedia praetexta, in termini più scientifici, cioè su temi romani, l’Octavia, e di una una satira, molto, ma molto singolare il Ludus de morte Claudii. Ecco veniamo appunto a questi due titoli che ci dimostrano come la lingua, meglio la penna di Seneca, fosse “libera” come il suo pensiero. L’Octavia raccontava niente meno che la storia della prima moglie di Nerone, Ottavia, ripudiata e messa a morte quando l’imperatore decise di sposare Poppea Sabina. Il Ludus de morte Claudii, invece, era una satira tutta indirizzata all’imperatore. Il componimento, uno strano misto di prosa e versi intriso di sarcasmo, disprezzo e straordinariamente mordace, ridicolizzava apertamente l’imperatore. Il suo aspetto fisico, le sue manie venivano cantate da Seneca con un tale accanimento che risulta quasi difficile riconoscere nella satira l’opera di uno stoico quale Seneca.
Una considerazione mostra in particolare il carattere del Ludus: il fatto che fosse anche tramandato con un secondo titolo, greco, che significava più o meno “la deificazione di una zucca”. Così la vicenda del povero Claudio, rifiutato dagli Dei perchè deforme ed indegno e cacciato negli Inferi, viene introdotta al lettore. È chiaro che tali titoli non potessero aiutare molto Seneca ad integrarsi con l’ambiente di corte.
Ma anche se i rapporti con i sovrani erano in qualche modo destinati a deteriorarsi, parve che con la sua carica di precettore di Nerone, il filosofo fosse destinato ad una ancor più brillante carriera. L’inizio del principato di Nerone, sembrava una nuova alba per Seneca come per l’impero. Fu proprio il filosofo ad ispirare alcuni atti del governo del princeps, quelli più moderati. Una sapiente politica fiscale, una riforma monetaria che aiutò la ripresa dell’impero, un’atmosfera di moderazione e cooperazione con il senato, clemenza verso i sudditi e provvedimenti seri contro gli abusi politici ed il malcostume che dilagava nell’antica Roma, furono tutti atti dettati dallo stoicismo del maestro Seneca.
Ma poi ci fu la tragica svolta del principato di Nerone. Ecco è difficile stabilire con certezza le responsabilità di Seneca nei primi delitti commessi da Nerone, ma le fonti sembrano raccontare una sorta di complicità fra i due. Seneca non condannò apertamente l’assassinio di Britannico, il fratellastro di Nerone e non impedì quello di Agrippina. Anzi, Tacito, Quintiliano e Dione Cassio suggeriscono nei loro resoconti un quadro ben diverso, come se Seneca avesse consigliato l’eliminazione di Agrippina, o quantomeno avesse contribuito a nascondere il matricidio. È ovvio che, indipendentemente dalle responsabilità di Seneca in queste vicende, il regno di Nerone si stesse muovendo sempre più verso un folle despotismo.
Questa politica fatta di congiure, rappresaglie ed atti criminosi, Seneca, da stoico ed autore del De ira, per sua coerenza non riuscì più a tollerarla o quanto meno a celebrarla. Così nel 62 si ritirò a vita privata. Ma Nerone interpretando questo allontanamento di Seneca come una condanna della sua condotta, come una dichiarazione di ostilità, cominciò a vedere in lui un possibile oppositore. L’imperatore non tardò a sviluppare nei confronti del suo ex maestro un rancore profondo che sfociò in una vendetta crudele. Nel 65 d.C. in occasione della congiura dei Pisoni inizierà una violenta repressione che non risparmierà il vecchio Seneca, ormai quasi settantenne. Il filosofo in verità non aveva un ruolo di primo piano nella vicenda, ma Nerone sospettando che in qualche modo fosse colluso o che pur sapendo non avesse parlato, gli consigliò caldamente il suicidio per evitare così l’umiliazione della condanna a morte. Così vecchio e ormai debole, il filosofo si recise le vene lasciando scorrere via la vita.
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