Abbiamo accennato più volte alle straordinarie opere dei Romani, soprattutto da un punto di vista architettonico o delle infrastrutture (come ad esempio in relazione a strade e vie di comunicazione). Ebbene, è ovvio che per la realizzazione di tali progetti i Romani dovessero far riferimento ad un qualche strumento che permettesse di definire quantitativamente le grandezze fisiche. I Romani , cioè, avevano un sistema di unità di misura. Questo serviva a stabilire dei canoni d’altezza e lunghezza nella costruzione di un edificio o nel tracciare una strada; aiutava a calcolare le quantità, nel modo più preciso possibile, quando conoscerle fosse un’esigenza, come nel commercio o nelle distribuzioni gratis di “quote grano”, che andavano scrupolosamente quantificate. Queste unità di misura, giocavano un ruolo fondamentale anche nella vita delle persone comuni e per questo dovevano essere facilmente accessibili a tutti e non troppo difficili da comprendere. Così accadde che le unità di misura più antiche e più piccole fossero riconducili a parti del corpo : una soluzione pratica e concreta da un certo punto di vista. I Romani utilizzavano allora il piede (pari a 0,296 m ) per la misurazione di lunghezze contenute e poi per le distanze più lunghe il milium , circa 1478 m; ma non mancavano poi di tradurre il milium in doppi passi, 1000, visto che la prassi era quella di fare i propri spostamenti a piedi. Anche per enfatizzare l’altezza o l’imponenza di alcuni edifici famosi , gli autori ricorreranno a questa strana misura, il piede, menzionando ad esempio la colonna Traiana , come centenaria, cioè alta cento piedi romani. Certo, il milium resterà il caposaldo nel caso di viaggi sulle tratte più lunghe: ricorderete le pietre miliari, o il miliarium aureum, che registravano in milia le distanze più impegnative che separavano Roma da luoghi chiave dell’impero. Le pietre miliari, cioè, traducevano in numeri impressionanti, quel network complesso di strade che era il sistema viario romano.
Sempre decisamente “empirica” è l’unità di misura delle superfici che venivano valutate secondo criteri molto vicini all’esperienza quotidiana delle persone. L’unità di misura più impiegata era lo iugero, che corrispondeva all’area di un campo che una coppia di buoi riusciva ad arare in un giorno, cioè più o meno ad un campo di 2523,3 metri quadrati ( 120 piedi x 240). E già da queste poche righe appare evidente come grazie a queste unità di misura , molto semplici a dire la verità, si potesse costruire un sistema di riferimenti in grado di dare delle linee comuni a chi intraprendesse una qualsiasi attività. Insomma immediato ed efficace. Quanto poi le unità di misura fossero ispirate dal principio della praticità, appare ancora più evidente dalle misure di capacità e volume. Per i liquidi la più usata, fra le più piccole, era il sextarius che corrispondeva al mezzo litro. Quindi i Romani come noi potevano ordinare il mezzo litro di vinello sfuso, ed esisteva anche l’antenato del nostro quartino di vino, hemina, pari a 0,27 l (un quartino più generoso dei nostri 0,25 onesti e precisi). Per le quantità maggiori si usava l’ amphora, pari a poco più di 26 litri. E non è un caso che questa unità avesse il nome di un famoso contenitore, perchè per la valutazione della capacità , sia per i liquidi che per gli aridi, venivano spesso utilizzati recipienti di forme e dimensioni prestabilite. Accadeva per l’amphora , il contenitore più utilizzato per il trasporto di liquidi tramite navi, e per il modium.
Il modium, unità di misura che corrispondeva a circa 9 litri o circa 7 kg di aridi, era infatti un contenitore ben noto ai Romani. Laddove si commerciava grano e frumento le rappresentazioni di questo contenitore dalla bocca ampissima abbondano. Per vederne, potete passeggiare ad esempio ad Ostia Antica, dove il modio era di casa, visto il ruolo fondamentale della città nello smistamento del grano. Ad Ostia arrivavano enormi carichi che dagli specialisti dell’epoca, i mensores, venivano misurati, proprio in moggi, modium. E se questo non vi basta , sappiate che esistevano anche le Mensae ponderariae, enormi lastre di marmo con incavi scavati secondo dimensioni prestabilite e studiate per rappresentare empiricamente i sottomultipli delle misure più grandi.
Per le misure di peso, invece, i Romani usavano dei pesi di riferimento, sferoidi di pietra o metallo da posizionare sul piatto della bilancia. La libra (=assis ), pari a 0,32745 Kg, e l’uncia , pari a 0,02739 Kg, sono forse quelle a noi più familiari.
Gli sferoidi da usare sul piatto della bilancia venivano modellati secondo campioni di peso ufficiali, che erano conservati a Roma nel tempio di Castore e Polluce e sottoposti al controllo dei magistrati responsabili, gli edili.
Dunque, se pensavate che almeno in questo i Romani fossero meno sistematici di noi, purtroppo dovete ricredervi ed ammettere che anche in questo caso Roma docet.