È difficile oggi avere un’idea chiara ed una visione piena della bellezza degli edifici antichi del mondo romano. Nella maggior parte dei casi, che si trattasse di edifici pubblici o privati, i rivestimenti sono purtroppo perduti. Così, passeggiando per le aree archeologiche di Roma ed altre meravigliose città d’Italia, si ha l’impressione di perdersi in monotoni labirinti di rovine. Tuttavia, alcuni ritrovamenti fortunati, le citazioni degli autori antichi, ed alcune scoperte eccezionali ci hanno aiutato nel tempo ad attribuire “i giusti colori” alle costruzioni dei Romani. Le pareti delle case romane e degli edifici pubblici potevano essere rivestite in modi diversi, ma resta fermo il presupposto che il color ocra dell’opus latericium, ora prevalente, non era visibile. A nasconderlo allo sguardo del visitatore potevano esserci intonaci dipinti, stucchi o rivestimenti di lastre, opus sectile, in modo più serio.
In questo post ci dedicheremo all’opus sectile in particolare. Il fine di questa decorazione preziosissima era ovviamente quello di nascondere la struttura, ma tale intervento non era certo semplice compiere.
Innanzi tutto bisogna fare alcune riflessioni sui materiali di partenza. Il marmo viene utilizzato nelle case dei ricchi romani della fine della repubblica per mostrare il proprio status, il prestigio sociale. Il marmo usato sarà dapprima marmo bianco e poi seguirà in età augustea un’ampia diffusione del marmo colorato, non solo nella luxuria privata, ma anche nell’edilizia pubblica. Ma perchè ?
Il marmo traduce in termini visibili e materiali il potere di Roma. Così nel II sec. d. C., secolo in cui l’impero romano raggiungerà la sua massima espansione, la distribuzione dei marmi colorati sarà un fenomeno sempre più imponente. L’impero romano comincerà a brillare di colori sempre più vivaci in modo sempre più impressionante. Il marmo verde di Tessaglia, con il suo color verde intenso,la breccia corallina di Bitinia e tanti altri marmi dai colori vivaci affiancheranno i marmi giallo antico di Numidia, il pavonazzetto con le tinte più violente e le altre qualità di marmi già da un po’ distribuite dai Romani. Già da questo breve elenco, chiudendo gli occhi, potete immaginare il potenziale di certe costruzioni, che ammantate di rivestimenti preziosi avranno offerto al visitatore un bagno di colore stupefacente e vibrante, fatto di rosso, viola, giallo e verde. Certo non sempre sarà possibile per tutti accedere a tali materiali, ma proprio dalla loro rarità, dai costi e dalle difficoltà di importazione dipenderà il loro valore simbolico ed economico sempre più alto. E poi nel caso in cui il materiale non sia accessibile, i committenti ricorreranno a marmi somiglianti a quelli più difficili da reperire o addirittura al fake , cioè ad imitazioni dipinte dei rivestimenti di lastre.
La seconda considerazione da fare è sulla lavorazione dei materiali. Fatta la premessa che i Romani avevano studiato una gamma incredibilmente varia di strumenti, resta oggettiva la difficoltà di intervenire sul marmo prima dell’avvento delle nostre macchine moderne. Partendo dagli strumenti per i primi interventi , di definizione del blocco, potremmo citare la mazza pesante, l’ascia bipenne, l’ascia a martello ed i cunei. Poi per la rifinitura venivano impiegate subbie, gradine,scalpelli e persino il trapano ad asta. Perchè la misurazione dei materiali fosse precisa i romani potevano usare calibro e compasso (anche a chiave) semplice e di proporzione (per riportare le misure in modo fedele). E, naturalmente la messa in opera delle lastre si avvaleva di una altrettanto complesso kit di attrezzi: filo a piombo e squadro. Ma la cosa più sorprendente era la tecnica per il taglio delle lastre. Per questa tecnica, detta segagione, si usava una sega chiamata serra. La serra era sostenuta da pali di legno ed alcuni contrappesi mantenevano la lama perpendicolare al blocco in modo che il taglio fosse preciso. Il taglio poi era possibile grazie all’abrasione che la lama liscia produceva scorrendo su una miscela di acque e sabbia perfettamente dosate. Il procedimento era molto lento : in una giornata di lavoro si tagliavano appena pochi centimetri di marmo. Inoltre almeno due Serrarii dovevano essere impiegati per spingere e tirare la serra. Capite dunque come la reperibilità del materiale unita alla complessa lavorazione richiesta, facessero del marmo una decorazione non accessibile ai più. E comunque c’è una terza considerazione da fare: la difficoltà nella messa in opera. Ovviamente non tutte le lastre avevano lo stesso spessore. Alcune erano piuttosto grandi e pesanti e questo costituiva un problema non da poco se la decorazione era prevista per una parete.
Bisognava preparare bene la superficie su cui posare le lastre. Si applicavano cioè uno o più strati di malta per livellare la superficie e per farle. A volte venivano sistemati sul penultimo strato frammenti di lastre di marmo. Queste adagiate perfettamente in piano con l’aiuto di una riga, dovevano costituire una superficie regolare e non cedevole su cui fare aderire le lastre più esterne. Lo strato di malta in ogni caso, con il suo spessore significativo, permetteva di di spingere, “affondare”, le lastre più spesse in modo che fossero accostate con precisione a quelle più sottili. In questo modo si otteneva una superficie perfettamente livellata, senza sporgenze o profilo delle lastre a vista. Ovviamente tutto ciò risultava più semplice quando si mettevano in posa pavimenti, perchè per i rivestimenti parietali si aggiungeva un ulteriore problema: il fissaggio delle lastre. Cioè bisognava evitarne il distacco dalla parete.
Quando le lastre erano particolarmente grandi, farle aderire direttamente allo strato di malta non era sufficiente così si aggiungevano delle grappe di metallo a consolidare il tutto. La cosa purtroppo era ben nota nel medioevo, quando i nuovi “costruttori” si aggiravano per i siti antichi ormai abbandonati in cerca di materiali. Così sia le lastre di rivestimento sia le grappe furono oggetto di spoliazione. Non solo dove c’erano rivestimenti non vedete più le lastre di marmo, ma in alcuni casi potete seguire profili regolari di fori allineati sulle pareti: sono i così detti fori di spoliazione. La loro presenza, ci ricorda purtroppo ovunque il saccheggio continuo dei monumenti antichi, però, allo stesso tempo, quando la loro sequenza è ben distinguibile sulle murature, ci suggerisce la forma, le dimensioni delle lastre applicate a parete.
Tutto ciò ovviamente non è valido per i pavimenti, dove i motivi decorativi risultavano spesso anche più liberi e raffinati.
Una preziosa fonte di informazioni in questo senso è il meraviglioso sito di Ostia Antica. Nell’area archeologica fu ritrovato un meraviglioso opus sectile con motivo figurato, quello di Porta Marina. Un enorme felino brandisce la sua preda, in un fitto tessuto di tarsie di marmo (sectilia) colorate. Stupendo. Ed in generale Ostia più che Pompei, in questo caso ci offre interessanti esempi. In un post precedente abbiamo citato la Domus di Amore e Psiche, ma le Terme del foro e tanti altri edifici pubblici e privati della città conservano ancora, seppure in piccola parte, la decorazione in marmo.