Nel mondo romano, le epigrafi svolgevano un ruolo essenziale nella comunicazione di massa, sia nel caso in cui dovessero veicolare messaggi di carattere privato (il ricordo di un defunto, la proprietà o il luogo di produzione di un oggetto, un’espressione spontanea di critica o ammirazione verso qualcuno o qualcosa), sia nel caso in cui garantissero la visibilità necessaria a comunicazioni di carattere pubblico (la celebrazione delle benemerenze di un personaggio pubblico, il contributo dato alla costruzione o restauro di un monumento edificato per la collettività, o la titolatura di un imperatore).
Visto che la funzione di un’iscrizione era essenzialmente di comunicazione, è chiaro che questa dovesse essere leggibile e perfettamente comprensibile.
Oggi noi abbiamo difficoltà a leggere alcune iscrizioni, per il loro stato di conservazione, magari gli agenti atmosferici hanno eroso la superficie rendendo alcune lettere a stento distinguibili, o magari abbiamo a disposizione solo una parte dell’iscrizione, fratta in più parti, delle quali alcune mancano all’appello.
Ma all’epoca dei Romani il patrimonio di informazioni fornito dalle epigrafi era perfettamente fruibile, grazie, anche, alla cura dedicata alla loro produzione.
Ma cominciamo dal principio.
Il supporto di un epigrafe può essere di vario materiale, marmo, ceramica, metalli, e praticamente ogni superficie sulla quale sia possibile dipingere, iscrivere, graffiare, segnare. Il supporto dipende ovviamente dal tipo di iscrizione.
Ma supponiamo che la nostra iscrizione fosse su materiale lapideo. I nomi degli artigiani legati all’officina lapidaria sono diversi: c’è il lapicida, il marmorarius, il quadratarius. è difficile distinguere le loro singole mansioni, ma dobbiamo pensare ad una situazione in cui, a seconda dei desideri – e delle possibilità economiche – del cliente, si potesse intervenire in modo diverso.
Si poteva acquistare dall’officina lapidaria un supporto standard, cioè prodotto in serie, e quindi più accessibile e meno costoso; o commissionare una produzione personalizzata che partisse dal blocco sbozzato, comportasse la preparazione della superficie da incidere e la decorazione secondo i gusti particolari del cliente. Allora ovviamente i costi variavano.
Resta però in ogni caso fermo il fatto che il messaggio inciso nel campo o specchio epigrafico dovesse essere assolutamente leggibile. Allora si “poliva” con cura estrema la superficie interessata dall’incisione, si tracciavano delle linea guida e si realizzava una minuta. Si procedeva cioè alla ordinatio, una sorta di impaginazione preliminare, che garantisse ordine al testo e lo rendesse dunque perfettamente comprensibile.
Una volta garantiti gli standard necessari al testo attraverso la minuta, seguiva l’operazione vera e propria di incisione, se parliamo di materiale lapideo, eseguita con scalprum (scalpello), e malleus (martello). Ovviamente questa sequenza di interventi rendeva l’epigrafe un’opera piuttosto impegnativa, e quindi, i committenti non disdegnavano l’opportunità di contenere i costi. Quindi, per quanto la chiarezza del testo fosse la priorità, la brevità era piuttosto apprezzata.
Non parliamo solo delle abbreviazioni ricorrenti e stereotipe presenti nei testi epigrafici, ma anche della disposizione e della grafia delle lettere. Queste a volte escono dal campo epigrafico, invadendo le cornici laterali; a volte sono vicinissime tra loro e solo i segni di interpunzione (i più artistici sono le hederae distinguentes) evitavano rischiose ambiguità del testo; a volte si fondono in unico carattere, come nel caso di Æ , che sta per AE , o Ā, sostitutivo del gruppo AT.
Insomma non abbiamo inventato la comunicazione per sigle e abbreviazioni, o il concetto di brevità, come requisito molto apprezzato nella comunicazione scritta.
Ma in ogni caso Antica Roma TVB….
Post by Sara P.