Il 9 agosto del 48 a.C. si combatté a Farsàlo, piccola località della Tessaglia in Grecia, una di quelle battaglie che cambiarono il corso della storia di Roma. Come spesso è accaduto nella storia dell’urbe da entrambe le parti del campo di battaglia erano schierati però soldati romani: si stava combattendo la guerra civile tra Cesare e Pompeo e quel giorno ci sarebbe stato lo scontro decisivo.
In questo post vi illustreremo i momenti salienti di quella fatidica battaglia, la strategia messa in campo dai due contendenti ed i segreti che hanno portato Cesare alla vittoria che gli aprì la strada per il dominio su Roma.
Per farlo ci affideremo alle preziose testimonianze degli autori antichi. Primo fra tutti Cesare stesso, che visse in prima persona i fatti, e che nel suo de bello civili ci ha lasciato un vero e proprio reportage di guerra.
Seguiremo anche il resoconto di due altri autori fondamentali per la storia di Roma: Plutarco e Lucano. Le loro ricostruzioni di quel fatidico scontro, che ritroviamo nelle Vite parallele, citando Plutarco, e nell’opera Pharsalia del poeta Lucano, sono di circa un secolo successive ai fatti narrati, ma ci propongono ugualmente un racconto prezioso ed avvincente della storia.
Ma veniamo a quel giorno fatidico.
Il giorno dello scontro l’esito della battaglia sembrava già scritto: tutto pareva volgere a favore di Pompeo.
Il primo dato che emerge dai racconti degli storici è quello dei diversi umori vissuti nei due schieramenti.
Nell’accampamento di Pompeo, che occupava le colline sulla piana di Farsàlo, l’atmosfera era di calma e attesa. La prima fase degli scontri, che aveva avuto luogo in Oriente, aveva sancito più volte il trionfo di Pompeo. Una serie di manovre militari di successo avevano accresciuto la fiducia del generale nelle sue capacità ed i suoi comandanti galvanizzati dai precedenti risultati erano nell’animo già pronti ad una nuova vittoria. Nel castrum pompeiano c’era dunque un’atmosfera di eccessiva fiducia nell’esito positivo dello scontro. Regnava un clima di totale rilassatezza e mancanza di ogni disciplina. I comandanti ben lontani dal quello spirito di rigore e sacrificio che motiva le imprese più alte, trascorrevano gli attimi precedenti allo scontro in una totale mollezza, preda di arroganza e avidità , intenti più a ripartirsi i premi di una vittoria che non sarebbe mai venuta, piuttosto che a pianificarla con rigida disciplina militare, cioè a dirla come Cesare : nec quibus rationibus superare possent, sed quemadmodum uti victoria deberent cogitabant ,(De bello civili, III, 83,5.
Per i cesariani, la situazione era ben diversa. Cesare aveva raggiunto la Tessaglia dopo alterne sconfitte e vittorie. Le ingenti perdite che aveva subito in alcuni di questi scontri, a Durazzo in particolare, avevano ridotto il numero di uomini su cui poteva contare e tanti erano stanchi e spossati nell’animo e nel corpo. Inoltre Cesare, attestandosi nella piana presso il villaggio di Farsàlo a breve distanza da Pompeo che occupava le colline circostanti, si trovava di fatto in una posizione meno favorevole di quella del nemico.
Ma questi non erano gli unici fattori che sembravano favorire Pompeo: anche i numeri erano contro Cesare. I rapporti di forza tra i contendenti alla vigilia della battaglia di Farsàlo erano decisamente impari.
Il dispiegamento di forze su cui faceva affidamento Pompeo era impressionante ed aveva dalla sua una schiacciante superiorità numerica: il suo esercito poteva contare infatti su 45.000 fanti e 7.000 cavalieri contro i 22.000 fanti e 1.000 cavalieri di Cesare.
Eppure Cesare riuscì a vincere. Ma come, se tutto sembrava essere contro di lui?
Ovviamente, bisognava compensare con una buona strategia la disparità di mezzi. Ma perché i soldati si prestassero a rompere quelli che erano da sempre gli schemi attesi per uno scontro, bisognava infondere in loro la giusta fiducia nel leader che li guidava alla battaglia. E Cesare in questo fu abilissimo. I generali, prima di ogni battaglia, erano soliti pronunciare un discorso ufficiale, adlocutio, per infiammare e motivare gli animi dei propri soldati. Anche Cesare tenne il suo e con grande successo. Nel caso della battaglia di Farsàlo è giunta sino a noi una duplice versione del suo discorso, che ci può fare meglio capire come avesse carisma e indiscutibilmente la stoffa del grande leader.
Il discorso che Cesare pronunciò è diverso da qualsiasi suo precedente intervento. La gravità della situazione era chiara a tutti, il momento era cruciale. Non potendo far leva sulla speranza di far bottino o su sentimenti “nazionalistici”, poiché gli eserciti che stavano per darsi battaglia erano costituiti da Romani da ambo le parti, Cesare incentrò il suo discorso su temi nuovi. Chiese ai suoi questo sacrificio estremo facendo dell’onore e della giustizia i valori da difendere ad ogni costo.
Cesare, come da lui stesso riferito nel De bello civili fece leva sulle responsabilità della guerra facendole ricadere su Pompeo e sottolineando i torti da lui subiti: cicatrici ed offese al popolo romano che andavano vendicate a qualsiasi costo per scongiurare un male maggiore. La guerra civile era una soluzione estrema che Cesare rivendicò come necessaria, dolorosa, ma consapevole. Emerge nel complesso una certa humanitas dal suo discorso: nel ricordare i tentativi compiuti per salvare la pace e ribadendo il suo desiderio di non voler spargere sangue romano – “né avere voluto abusare del sangue dei romani né privare lo Stato di uno dei due eserciti”- mostra in modo lucido la necessità dell’impresa. L’immagine che Cesare propone di sé attraverso il celebre discorso è quella di un leader risoluto, ma giusto, che compie scelte dolorose e sofferte per la necessità di stato; un generale capace che ottiene per la sua stessa dedizione alla causa dello stato la piena fiducia dei soldati.
Certo, l’immagine che invece ci propone Lucano è piuttosto distante da questi toni.
Nel discorso riportato da Lucano i toni sono più accesi e passionali. Cesare rimarca le violenze subite da parte dei pompeiani ed esorta i suoi soldati a non avere pietà dei congiunti che stanno combattendo nell’altro schieramento: “Sia che leviate il ferro per colpire il petto dei congiunti, sia che non violiate con ferita nessuna persona cara, il nemico vi imputerà a delitto l’avere sgozzato un ignoto”. (Lucano, Pharsalia VII, 303-329). Non sapremo mai quali furono esattamente le parole che pronunciò Cesare a Farsàlo, ma il suo discorso alle truppe fu grande dimostrazione delle sue doti di stratega ed anche di oratore. Doti che fecero la differenza motivando i soldati ancora e ancora nei momenti decisivi dello scontro. Così quando i soldati spossati dopo il primo assalto, erano sul punto di cedere alla stanchezza, di nuovo accesi dalle parole di Cesare, non lo abbandonarono ma lo portarono al trionfo. Cesare stesso nel De bello civili ci riferisce di come “Essi (i soldati) sebbene spossati dal gran caldo – infatti la battaglia si era protratta fino a mezzogiorno – tuttavia obbedirono al comando preparati nell’animo ad ogni fatica”, (Cesare De bello civili, III, 95), e diedero l’assalto definitivo al campo nemico. Le sue capacità di “comunicatore” avevano fatto di nuovo la differenza.
Ma il grande leader, si sa, unisce in sé doti che nella maggior parte degli uomini sono rare e così Cesare univa al coraggio, alle sue straordinarie capacità di comunicatore un’oggettiva abilità strategica. Questa sua abilità consisteva soprattutto nel saper studiare un sempre nuovo approccio allo scontro a seconda del mutare degli eventi, infrangendo gli schemi tradizionali. E così accadde a Farsàlo.
Dapprima Cesare condusse una tattica attendista, manovrando per diversi giorni il suo esercito con lo scopo di provocare gli avversari ed indurli a qualche passo falso: sperava che si spingessero fino alla piana abbandonando così le loro posizioni favorevoli sulle colline. Quando i generali di Pompeo alla fine si mossero e schierarono l’esercito nella pianura pronto a dare battaglia, Cesare si fece trovare pronto, sorprendendoli con delle scelte coraggiose ed azzardate.
Mostrò una straordinaria abilità nel prevedere le mosse dell’avversario e manovrò il suo esercito con grande lucidità ed intelligenza strategica. Tutto ciò lo portò sicuramente al successo. Normalmente gli eserciti romani erano disposti lungo un fronte costituito da 3 settori, il centrale con i due laterali protetti ai fianchi dalla cavalleria. Ogni settore contava su un numero variabile di legioni suddivisa in quadrati che costituivano le coorti, quest’ultime disposte su 3 file e posizionate formare il disegno di una scacchiera.
Ma Cesare a Farsàlo adottò uno schema diverso, fece una scelta differente che fu cruciale nel sancire gli esiti dello scontro. Cesare sapeva bene che, se avesse protetto il fianco destro con i pochi cavalieri che aveva a disposizione, non sarebbe riuscito a respingere la cavalleria avversaria. Quindi, con un’abile mossa, tolse dalla terza fila di ogni settore 2 coorti e le trasferì nel settore destro dove avrebbero formato una quarta fila. Quando Pompeo lanciò la cavalleria contro il fianco destro di Cesare per accerchiarlo, non si trovò di fronte solo l’esigua cavalleria di Cesare, ma uno schieramento più profondo, e non potendo contare sulla superiorità numerica perse ogni vantaggio.
Nel De bello civili è Cesare stesso, compiacendosi per la propria tattica riuscita, a vedere in questa scelta l’elemento essenziale per la vittoria: “Cesare poi non si ingannò che l’inizio della vittoria nascesse dalle coorti che erano state poste nella quarta linea contro la cavalleria, come egli stesso aveva predetto nell’esortare i soldati”. (Cesare De bello civili, III, 94)
Anche Plutarco racconta di questo momento decisivo. Riferisce che Cesare fece irrompere nel combattimento la quarta fila che assaltò alle spalle la cavalleria di Pompeo: “I reparti che aveva schierato dietro al grosso per sventare l’accerchiamento, tremila uomini in tutto, sbucarono di corsa e affrontarono i nemici”. (Plutarco, Vita di Pompeo, 71); poi insiste su un altro elemento interessante: il fattore sorpresa. La mossa, ci dice Plutarco, spiazzò i cavalieri di Pompeo che incapaci di difendersi dai giavellotti della fanteria di Cesare si diedero alla fuga: “questi assolutamente inesperti di battaglie e tanto meno aspettandosi o conoscendo una tattica simile, non ebbero il coraggio d resistere ai colpi, diretti ai loro occhi e alle loro bocche. Portarono le mani davanti il viso, si girarono e si lanciarono in fuga ignominiosa”. (Plutarco, Vita di Pompeo, 71).
A questo punto Cesare doveva solo sfruttare il momento favorevole: i suoi soldati avevano resistito alla prima onda d’assalto e già nell’esercito nemico grande parte dei generali apparivano disorientati. Quindi azzardò ancora di più. Approfittando della vulnerabilità del fianco sinistro nemico, ora sprovvisto della protezione dei cavalieri, Cesare lanciò il contrattacco.
L’urto del contrattacco sbaragliò una parte consistente dell’esercito di Pompeo che indebolito e disordinato cominciava ad indietreggiare: alla fine le truppe nemiche prese dallo sconforto ruppero le linee e batterono in ritirata inseguite da Cesare fino all’accampamento.
Dopo una resistenza non troppo convinta anche l’accampamento cadde nelle mani di Cesare. Tutto L’esercito era ormai in fuga, ed a Pompeo non restava che osservare incredulo l’irruzione dei cesariani nel suo accampamento; “Come, persino negli alloggiamenti?” (Plutarco,Vita di Pompeo, 72) disse secondo l’autore non avendo altra scelta che prendere atto che la storia di Roma era ormai scritta.
Abbiamo deciso di parlarvi di Cesare attraverso Farsàlo , perché meglio di qualsiasi biografia, l’evento racconta di un leader eccezionale che con pochi mezzi ma con una straordinaria intelligenza strategica riuscì a trionfare. La vicenda mostra come un uomo deciso, risoluto e capace, riuscisse ad infiammare gli animi e ad accendere di orgoglio i suoi soldati a tal punto da seguirlo in battaglie che sembravano già perse. Farsàlo e Cesare vi raccontano di come la storia di Roma sia fatta di grandi imprese, folli e coraggiose e di come uno dei più grandi strateghi di tutti i tempi ne fu protagonista.
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