Abitare nell’antica Roma: le Domus

13 Apr 2020 | Vita quotidiana

Nell’antica Roma, come nelle nostre moderne città, esistevano tipi diversi di casa a seconda delle possibilità economiche delle persone. Le famiglie romane più agiate vivevano nelle domus, le persone meno abbienti occupavano gli appartamenti in affitto dei grandi condomini di allora, le insulae.

Le Domus, quali case dei Romani più ricchi, riflettevano nella loro architettura ed organizzazione degli spazi lo status del dominus. Così in una cornice di rara bellezza e fatta di comfort ed agiatezza i Romani trascorrevano una parte significativa della loro giornata. Il lusso lo sfarzo, la ricercatezza degli arredi fissi e mobili dovevano essere la manifestazione materiale di questa condizione ed avvolgere e trascinare in un mondo diverso e colorato gli abitanti della casa ed i loro ospiti. Il limite, il confine da varcare per avere accesso a questo mondo, alla sfera privata della vita di ogni romano erano le fauces, la porta, la soglia. Le fauces costituivano in molte domus l’unico collegamento con l’esterno. Non esistendo allora i moderni sistemi di sicurezza di oggi era opportuno limitare il più possibile i contatti con il mondo esterno e per essere al riparo da ladri e malintenzionati, le case avevano solo poche finestre, minuscole, rade, e con i battenti sempre chiusi. L’entrata principale, le fauces erano dunque il limite da varcare per riuscire ad avere accesso a questo mondo in un certo senso isolato. Le fauces, consistevano probabilmente in un alto e pesante portone in legno verosimilmente a due ante. Su alcune soglie di domus romane sono visibili ancora gli incassi di cerniere e cardini delle due ante. Dunque una porta alta e pesante: cioè impossibile da forzare senza mettere in allarme un intero distretto. Ed effettivamente l’apertura delle fauces era un vero e proprio cerimoniale. Le ante venivano spalancate in momenti specifici del giorno consentendo così l’ingresso ai visitatori, i clientes che venivano in visita dal padrone di casa.

Ma per chi aveva il privilegio e la fortuna di varcare la soglia di una domus l’esperienza era memorabile. Varcata la soglia, si apriva un mondo stupendo di luce e colore e bellezza, ma in fondo razionale, così come sono stati sempre i romani. I romani pratici, pragmatici hanno attribuito a loro modo ad ogni stanza una funzione ad ogni spazio un ruolo. Quindi toglietevi dalla testa il design all’avanguardia di certe residenze moderne, in cui a volte è difficile perfino orientarsi. Le cose sono dove vi aspettate di trovarle e per lungo tempo le case hanno seguito sempre lo stessa schema e disposizione degli ambienti. Lo dimostrano prime fra tutte le domus pompeiane.

Domus di Livia al Palatino, Roma

Il primo locale che si incontrava dopo un disimpegno iniziale , vestibolum, era una sorta di cortile centrale interno, l’ atrium.

Esso aveva una doppia funzione. Da un lato non era troppo diverso dal nostro corridoio di casa , cioè costituiva un passaggio obbligato per raggiungere tutte le altre stanze. Era il perno attorno al quale erano distribuiti gli altri spazi della casa. In più nel caso dei Romani l’atrium ospitava anche un piccolo altare privato, il lararium. Qui ogni giorno la famiglia onorava le immagini degli antenati e delle divinità domestiche, i Lari, e chiedeva la loro protezione, bruciando incenso e pronunciando le giuste formule rituali. Dall’altro lato c’è da dire che l’atrium svolgeva un ruolo essenziale da un punto di vista “funzionale”, quello della diffusione di luce ed aria, ma non solo. Se fino a questo momento, lari a parte, la domus può sembrare una realtà non troppo diversa dalle nostre abitazioni, già nell’atrium comincia a farsi sentire il peso dell’antichità, cioè l’effetto delle abitudini che cambiano delle necessità che mutano. Nell’atrio, alzando gli occhi al soffitto un antico romano avrebbe visto qualcosa di veramente strano: il tetto aveva un’apertura regolare.

Perchè? Perchè nelle domus, come detto spesso le finestre non c’erano. Allora questa apertura regolare nel tetto funzionava da pozzo di luce e d’aria. Ma non solo, perchè grazie alla forma ed alla loro inclinazione, le falde del tetto riuscivano a raccogliere l’acqua piovana, convogliando goccia a goccia la pioggia per farla scivolare in una vasca predisposta. L’approvvigionamento idrico è un altro aspetto importante che condiziona l’architettura delle case. Anche se la residenza era di tutto rispetto non era detto che ci fossero le fistulae, tubi con l’acqua corrente ed allora questo sistema di raccolta unito alle fontane pubbliche giocava un ruolo importante. Dall’impluvium cioè da questa prima vasca l’acqua poi scorreva in una cisterna sotterranea che costituiva la riserva della casa.

Acqua, luce ed aria erano gli ingredienti che rendevano l’atrium il cuore della casa, la zona che irradiava quanto necessario nelle camere attorno. Perchè dal cortile centrale si potevano raggiungere gli altri locali della domus. E Vitruvio, nel suo “De Architectura” è molto preciso quando descrive le diverse tipologie di Atrium e di qui il resto di stanze previste in una casa ideale. Questa lista di ambienti da comporre per avere una casa perfetta effettivamente ne prevedeva tanti e diversi.

Le stanze più piccole nelle dimensioni erano le camere da letto o cubicola. Le camere da letto erano ambienti tutt’altro che confortevoli: erano piccole e prive di finestre, simili in verità a piccole celle. Il letto era molto alto, tanto che serviva uno sgabello per salirci, il materasso era imbottito di paglia o lana e poggiava su strisce di cuoio; il cuscino invece era riempito di piume. E spesso a completare l’arredamento nella semi oscurità c’erano solo un’arca cioè un contenitore per gli oggetti personali. Ma perchè? Perchè le camere da letto non erano spazi polifunzionali come ci suggeriscono oggi le soluzioni più innovative in fatto di arredamento. Nei cubicola ci si ritirava solo per dormire e per questo non c’era bisogno di molto spazio. E peraltro le camere erano spesso singole: i letti matrimoniali esistevano ma non erano molto diffusi e spesso il padrone e la padrona dormivano in letti singoli e stanze separate. Dunque ciascuno aveva la propria camera, anzi ad essere più precisi le proprie camere. Ogni abitante della domus aveva a disposizione più cubicola per sé. Come lo sappiamo? Grazie, ad esempio ai racconti sull’Imperatore Augusto. Le fonti citano spesso la sua grande modestia, il suo equilibrio, insomma il suo essere avveduto. In questo contesto per sottolineare come l’imperatore non fosse incline al lusso ed agli sprechi ci dicono ad esempio che per quanto primo imperatore di Roma,Augusto dormiva tutto l’anno nello stesso cubiculum. Ce lo racconta in particolare Svetonio nelle Vite dei Dodici Cesari, Augustus, 73.

Cioè? Nelle case più ricche esistevano cubicola estivi od invernali, che a seconda della stagione venivano utilizzati per garantire il massimo comfort a chi vi alloggiasse. Strano, sicuramente. Per il resto, l’elenco delle stanze che restano non desta particolare stupore. C’è da immaginarsi uno studio-salotto, tablinium , una camera da pranzo , triclinium , e la cucina, culina. La stanza adibita a studio, il tablinium (da tabulae: i supporti su cui venivano registrati i documenti di famiglia), era arredata con tavoli e grossi armadi “porta documenti”. Qui il padrone di casa riceveva i colleghi di lavoro ed i clientes, e con loro discuteva di affari.

La sala da pranzo, triclinium, aveva un grosso divano formato da lettucci, disposti normalmente intorno ad un tavolo per il cibo. Su ognuno di questi lettucci potevano prendere posto, semidistesi, fino a tre invitati.

La cucina era simile ai nostri angoli cottura: sopra un solido bancone in muratura veniva spianata la brace necessaria a riscaldare i cibi. Le pentole e le marmitte erano posizionate su dei grandi fornelli rialzati chiamati treppiedi. C’erano poi ovviamente delle dispense ed un arredamento molto semplice: non erano belle perché erano solo e soltanto luoghi di lavoro. Nelle cucine come negli altri spazi di servizio della Domus lavoravano gli schiavi domestici. Fatta eccezione per questi locali di servizio , è evidente che la domus fosse un luogo bellissimo, dedicato al relax dei ricchi romani ed arredata con grande attenzione alla comodità degli spazi. Queste comodità o meglio necessità erano, tuttavia, un po’ diverse dalle nostre. Alcune cose che per noi sono essenziali, non lo erano per i Romani, e questo si rifletteva anche nell’allestimento delle abitazioni. Può farci orrore pensare che i bagni non fossero necessari nelle case, i bagni super equipaggiatiche abbiamo nelle nostre case. Per noi sono un must assoluto, per i Romani non lo erano e così non sempre nelle case erano presenti. Solo nelle case più attrezzate esistevano latrine private, cioè sedili di marmo che funzionavano come W.C. Il “bagno” inteso come esperienza completa era più una faccenda pubblica, una questione da risolvere nella forica o nelle Terme.

Al contrario pare che i giardini interni alle case fossero piuttosto comuni nelle Domus. Il peristylium, un elegante giro di colonne che cingeva il giardino, un colonnato insomma, veniva di solito allestito sul retro della casa. Uno spazio meraviglioso, stupendo, decorato da vasche, fontane, statue e piante. In alcune descrizioni delle fonti si parla non solo di rose, viole, narcisi, ma si menzionano addirittura pergolati di viti, cipressi e come animali decorativi pavoni. Tanto per avere un’idea degli spazi in un peristylium. Quindi nella sua ossatura, nella selezione delle camere e nelle decorazione permanenti tutto era un’incredibile celebrazione di bellezza e ricchezza allo stesso tempo. Per quanto riguarda gli arredi mobili le cose al tempo dei romani funzionano in modo diverso. Mentre nelle nostre case un tavolo di legno pregiato od un bel divano monumentale può essere il nostro orgoglio, nelle case dei romani i mobili sono pochi e non particolarmente preziosi. C’erano ovviamente i letti: i lectuli singoli od i più rari lecti geniales a due piazze per gli sposi nei cubicola. Sui triclinia divanucci a tre posti se ne stavano semidistesi gli ospiti a banchetto. E poi nelle case c’erano mensae , ripiani su amrmo montati su piedi, simili a tavoli, e cartibula, tavolinetti da esposizione . Le sedie più grandi , come le nostre poltrone non erano affatto comuni, il thronus la cathedra sono troni che si addicono più al contesto ufficiale e religioso. Ci sono perlopiù nelle case banchi scamna e e sgabelli subsellia. Cioè le camere dei Romani sono scatole , solide e colorate nelle decorazioni parietali ed a pavimento, ma pressocchè vuote. Non sono arredate con una varietà infinita di mobili e complementi d’arredo. L’idea della ricchezza la trasmette più che latro la presenza di stoffe preziose ovunque e la selezione di oggetti che il dominus espone orgoglioso. Questi oggetti dovevano rendere materiali , palpabili le possibilità economiche del dominus. Circondarsi di oggetti preziosi , oggetti d’arte era allora un fatto di distinzione sociale. Adornare la propria casa con oggetti costosi, di lusso propone un’immagine ben precisa del dominus. In casa casa sua ed attraverso gli oggetti che la decorano rende chiara e manifesta la posizione che intende occupare nella società. Ed allora l’argenteria, i servizi, le coppe e le suppellettili più costose venivano sistemate sui tavoli da esposizione nella pars publica della domus, in modo che ospiti e clienti potessero ammirarli e comprendere così la ricchezza della famiglia. Le domus diventano così non solo mirabili esempi delle capacità costruttive dei romani e della loro intelligenza architettonica, ma sono nei fatti scrigni di tesori. E così bisogna immaginarle. Basti citare i vasi d’argento, le gemme le perle, i manufatti d’oro e d’avorio e le statue che ci dice Cicerone l’insaziabile Verre trafugò per arredare casa sua, parola di Cicerone, Verrinae 4,1.

Insomma le domus non sono per tutte le tasche, ma solo per poche. Una prova? La testimonianza preziosadi Cicerone che ancora una volta ci viene in aiuto. Cicerone nel I secolo difendendo Celio dalle accuse a lui rivolte in tribunale di essere schiavo del lusso ci dà le cifre: «sumptus unius generis obiectus est, habitationis; triginta milibus dixistis eum habitare» (cicerone, Pro Caelio, VII, 17). Celio pagava un affitto di 30.000 sesterzi per abitare l’intero pian terreno di un’Insula adibito a Domus. Giudicate voi. Considerando che un Sesterzio (considerando la capacità di acquisto di allora) potrebbe corrispondere a circa due Euro attuali, l’affitto pagato da Celio era di 60.000 Euro

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